“Le Arti”, n. 10, ott. 1971, Milano, p. 90.
Il milanese Aldo Pogliani si è posto a bruciapelo nell’area della giovane pittura lombarda. Improvvisamente, ma con tutta la dedizione della quale può esser capace un appassionato, a cui il senso lirico delle cose trasfigurate dinanzi al cavalletto conferisce uno stato quasi d’astrazione fisica dal mondo che gli si stringe intorno. Pittura lombarda, quella di Pogliani, proprio dove tale pittura ha scavato (ed ha maggiormente attinto) più profondamente: nel paesaggio, ma in un paesaggio che non ha nulla in comune con l’aero, con il tonale, il canonico del lombardismo di coda romantica che dal gola, che dal Tosi continua ancora in cento rivoli di risorgenza, quantunque fuori dal suo vero tempo storico estetico. E’ un paesismo, codesto più facilmente inquadrabile nella "ribellione" di lombardi molto moderni dipingenti la natura (si potrebbe con molta facilità fare dei nome, che non si dicono per no dare esca a equivoci, per on far pensare a un epigonismo che non sussiste) "ribelli" che dipingono incrociando le pennellate grasse con molto verde, con azzurro e qualche po’ di bruno, con zollette di viola nel canovaccio, che dipingono piuttosto di colore che di tono. Sono quelli – il plurale è necessariamente inclusivo nel temperamentoso Pogliani – ai quali arride meglio un modo ispido, impetuoso, denso materico associabile più propriamente all’eccitazione espressionista che non
all’idillio distensivo impressionistico ormai, in mano ai suoi inesauribili utenti, discretamente liso dai decenni. La gemellazione del verde vegetazione e del rosso acceso, frequente nei paesaggio del nostro giovane, binarietà cromatica secondata dal grigio caldo, dal cobalto puro, lascia a volte il passo alla quasi monocromia di un blu efficace; eppure, i termini del genere operativo non mutano per niente; l’impennata esecutiva e la sottensione espressiva rimangono al calore della tessitura pittorica eccitata (quella che si diceva) stante nei pressi dell’epressionismo esattamente materico: e per quanto attiene al colore all’espressionismo di cavata scura (chiedo in prestito questa locuzione alla terminologia musicale, violoncellistica). Ma anche i fiori – come appena strappati alla terra – impegnano il Pogliani. Fiori - "macchie", fiori-colore, fiori inventati, nei quali temi l’artista riprende la credibilità del pittorico come cimento, nel gioco svelto delle paste, contro la leziosità dell’immagine allisciata o del pittoricismo di sola destrezza: fattori che stanno al di là delle convinzioni di questo operatore, sempre, a caldo.

M. Portalupi
Incontro con un pittore che brucia le tappe – E’ il giovane Aldo Pogliani un forte materico articolo di terza pagina in “La Notte”, Milano, 25 gen. 1972.
Sono pochi i pittori che superate le incertezze delle prime mostre personali s’avviano di buon passo fino a imprimere alla carriera ancora giovane un andamento celere. E’ il caso del pittore milanese Aldo Pogliani, che seguo da un paio d’anni e che visito ora nello studio. Pogliani brucia le tappe. Procede svelto sul piano della qualità, del miglioramento della sua pittura forte incisiva nella stessa deformazione materico-espressionista. Partito da una realtà di spettrali casolari nel verde della campagna, l’artista ha capito che a sommuovere la materia coloristica, a farla vorticare di spatola, di pennello, a rendere fiammante un rosso pungente nel verde umido raggiungeva il massimo del suo rendimento. Così ha fatto. Intervenendo per di più con materie estranee dentro le paste cromatiche, Pogliani ottiene adesso un’indiavolata architettura d’incidenze sensibili affratellate nel quadro alla fonte fervorosa di un’inventiva singolare. Colori e plasticanti materie estranee costringono i paesaggio dell’artista lombardo a star più dalla parte della pittura sensitiva che da quella della mera rappresentazione.

M. Portalupi
Pogliani un pittore scarno e stilista, in “Arterama” mensile di arte e cultura, n. 11, Milano, nov. 1972, p. 26.
Il pittore Aldo Pogliani ha fatto una mostra personale alla galleria "Pacedue" di Torino. Mostra di livello d’un artista estroso, che trae spunti e ottiene risultati di considerevole entità dalla materia pittorica direi quasi giocherellata di pennello, perché attivizzi lo schermo del quadro. Questo, con le sue porosità, i suoi tubercoli di sostanza coloristica, le sue strie, pezzature, campiture, curve largo-lineari e i suoi svampi timbrici si pone in un ambito di figurativià scarna, di spinta espressiva dentro un processo del tutto inventivo e antinaturalista. Il quale è da definire un più sottile latore di poesia intimista e con ciò nondimeno comunicativa. Un esempio di una tale comunicatività stilistico-figurata-materica era anche evidente nella sala ipogea della Galleria Pace di Milano, presente il pittore in una cintura espositiva nella quale figuravano dipinti di Campigli, Brindisi, Guidi, Tozzi, Sassu, Migneco, Morlotti …. Un giovane tra artisti d’investitura (uno consegnato alla storia, Campigli) perché dotato, perché ha un avvenire davanti a sé in quanto egli "… brucia le tappe – già scrivevo – procede svelto sul piano della qualità, del miglioramento della sua pittura forte incisiva nella stessa deformazione materico-espressionista. Partito da una realtà di spettrali casolari nel verde della campagna, l’artista ha capito
che a sommuovere la materia coloristica, a farla vorticare di spatola, di pennello, a rendere fiammante un rosso pungente nel verde umido raggiungeva il massimo del suo rendimento. Così ha fatto …".

M. Portalupi
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Studio Murimani