Una vita in un segno, articolo in “Corriere della Sera”, 27 nov. 1994.
Capita a volte di incontrare qualche autodidatta che, anche dopo un periodo breve di esperienza nel mestiere, elimina completamente le incertezze che restano quasi sempre nei più, per mancanza di quella preparazione “accademica” o di “bottega” della quale si parla tanto male, ma che contribuisce sempre a creare la base più sicura dalla quale l’artista può partire per fare quello che vuole. E’ raro perché chi cerca da solo una strada, denuncia quasi sempre indecisioni formali e di meccanica pittorica, alle quali riesce a sfuggire con difficoltà. Aldo Pogliani è tra gli autodidatti, uno dei pochi che sono arrivati invece ad esprimersi con decisione e franchezza, sia che tratti il paesaggio, che la natura morta, ed a mostrare perfino una personalità svincolata da riferimenti voluti o casuali che facciano pensare subito a qualcuno che può averlo influenzato.La preparazione del supporto gli offre asperità che forse lo aiutano a marcare il suo gesto pittorico e la sostenutezza dei suoi impasti, ma la pennellata larga ed i decisi colpi di spatola costruttivi, la scelta di tonalità forti sui rossi e sui bruni, ai quali fanno da contrappunto note d’altro colore (azzurri, verdi, viola squillante) imprimono una fisionomia abbastanza singolare ai suoi dipinti.
Il suo è un entusiasmo focoso, ma anche controllato: un entusiasmo che non ignora l’analisi, la ricerca e l’approfondimento della interpretazione, per arrivare a cogliere lo spirito delle cose così che i suoi non sono questo o quel paesaggio, ma il “paesaggio” ed ai fiori cercheremmo invano di dare un nome perché essi sono soltanto “i fiori”: fiori carnosi dalla vitalità restata esplosiva anche se hanno abbandonato la terra. La sua pittura è quindi un felice connubio tra realtà ed invenzione, realizzato con una materia calda, viva e fremente, che l’artista riesce ad imbrigliare senza mortificarla mai, anzi esaltando la sua carica cromatica ed i suoi fremiti dinamici.

D. Villani