Dal commento epistolare del critico francese Andrè Verdet a seguito di una visita alla personale dell’artista tenutasi a Milano, Galleria Pace, nei mesi di aprile-luglio 1978; pubblicato successivamente nell’introduzione ai “Dieci quaderni di pittura di A. Pogliani”, 1998-2001.
Aldo Pogliani, o il dono del cambiamento pittorico, della metamorfosi plastica. Avevo visto in Italia, credo a Milano, ma non ricordo più in quale galleria, delle opere di Aldo Pogliani. Avevo notato in questo pittore una netta tendenza in ciò che storicamente è convenuto chiamare astrazione lirica gestuale. Si può notare che i quadri di Aldo Pogliani sono stati ispirati dall’opera di Hans Hartung, il caposcuola incontestato del “gesto”, il pittore geniale, dal 1923, della “macchia”. In seguito la pittura di Aldo Pogliani è divenuta più personale, più morbida, leggera, aerea, in una parola più segnaletica nella sua scrittura astratta. Le ricerche attuali dell’artista raggiungono contemporaneamente quelle che hanno assillato l’immaginazione creatrice sia del meraviglioso poeta che è Marc Tobey, sia del non meno splendido visionario che è Henri Michaux. Penso che, malgrado le “impregnazioni” pittoriche esteriori, troviamo nell’opera attuale di Pogliani la risultante plastica di una riflessione, di una meditazione più coerente che in passato. Ben realizzati tecnicamente, congegnati con brio e minuzia nel particolare, con sicurezza nella messa in opera
dell’insieme, i suoi quadri, malgrado il brulichio molecolare di segni erranti, gravitanti nell’infinito, malgrado il groviglio sia di forme che di linee, i suoi quadri hanno un movimento “orchestrale” di insieme. Se questo brulichio di forme microscopiche (o telescopiche!) ci riporta alla biologia – terrestre o siderale che sia, l’infinitamente piccolo lo si comprende solo raggiungendo l’infinitamente grande nella sua struttura fisica fondamentale – le nervature grafiche che ne sono l’immagine lirica riecheggiano tuttavia nel dominio del campo pittorico e ci suggeriscono più che parlarci. Spesso i segni invadono con il loro movimento vermicolare microbi o batteri – tutto lo spazio del quadro. Talvolta i segni si localizzano in un punto geometrico di linee che dividono lo spazio in tanti piccoli quadrati: questo modo di distribuire le linee mi sembra infelice, troppo sistematico poiché restringe, riduce il rigoglio vivace della visione, interrompe il progredire dei segni, la loro proliferazione spaziale.

Andrè Verdet